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PADOVA E UNIVERSITA' INACCESSIBILE

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Messaggio  albatros1 Gio Apr 03, 2008 3:04 pm

Padova, che pena l'università: "Inaccessibile ai disabili"
La lettera di un giovane laureato che racconta la vicenda che ha visto protagonista la sua mamma disabile: arrivata per assistere alla discussione di laurea del figlio, la donna, su una sedia a ruote, costretta ad un tour inimmaginabile, fra umiliazioni e sofferenza


PADOVA - Recentemente ho discusso la mia tesi di laurea specialistica in psicologia clinico-dinamica presso l'Università di Padova. Mia madre è disabile, costretta da tempo su una sedia a rotelle. Nonostante il parere sfavorevole dei medici ad affrontare un viaggio lungo, mio padre e mia madre sono partiti ugualmente da Savona per assistere alla discussione della mia tesi. Purtroppo il Bo si è dimostrato una barriera particolarmente difficile da superare per un disabile. Racconto cos'è successo. Per la discussione della tesi sono assegnato all'aula di Scienze al terzo piano della struttura. Non ho materialmente il tempo di verificare se l'aula è considerata accessibile ai disabili, salvo che alla vigilia.

Il primo impatto non è incoraggiante: chiedendo alle guardie giurate come potevo accedere all'aula, le proposte spaziano tra il «parcheggiare» mia madre nel loggione, al «sollevamento pesi» effettuato da me e mio padre per superare gli antichi gradini del palazzo. Dietro mie insistenze, riesco ad accedere al secondo livello della nostra personale battaglia. Una guardia mi conduce dall'usciere. Qui devo rispolverare le mie conoscenze linguistiche, perchè sebbene il veneto non sia la lingua ufficiale d'Italia, non c'è stato modo di parlare altrimenti. Mio padre, con la sola conoscenza dell'italiano e del piemontese, si ritrova improvvisamente all'estero. Con un tono di insofferenza che rasenta il fastidio estremo, mi viene mostrato l'unico percorso possibile: ascensore fino al terzo piano, gradini in discesa (fattibili), attraversamento dell'aula di lettere durante le discussioni, conclusione con gradini in salita abbordabili da un sedia per fuoristrada. Essendo che mio padre ha oltrepassato la settantina e io non ho esattamente dedicato i miei anni di studio in palestra, l'unica alternativa è stata quella di raccogliere un gruppo di amici per superare l'ultimo tratto. D'accordo.

Il giorno dopo ci presentiamo con un' ora d'anticipo per preparaci alle prove, la mia e la loro. Primo problema: la guardia all'ingresso è cambiata e dobbiamo rispiegare tutto, scontrandoci con la sua reticenza a disturbare la commissione per attraversare l'aula. Lo sguardo di sufficienza che getta su mia mamma è una vera violenza. «Va bene», dico, «mi prendo io la responsabilità». Riusciamo a salire in ascensore, a scendere i gradini ed attendere di fronte alla porta dell'aula di lettere che i professori terminino la valutazione del candidato per passare. Qui, mia madre inizia a piangere. Prima sommessamente, poi sempre più copiosamente. Perché si sente veramente un peso, perché si sente rifiutata, perché sente il mio nervosismo mentre guardo il tempo passare, il mio timore di arrivare in ritardo alla mia presentazione. Piange e io non posso fare altro che aspettare, non ho nemmeno la forza di consolarla. Mi servono energie per finire il mio percorso accademico. Passiamo. Troviamo i miei amici. La solleviamo e finalmente posso pensare a laurearmi.

Il ritorno è fatto direttamente scendendo le scale con la carrozzella sollevata. Sono talmente arrabbiato che mi sembra leggera. Miracoli dell'adrenalina post-laurea. E della sorda impotenza di fronte a un sistema inaccessibile. Festeggio, ma rifletto. I miei genitori sono abituati da una vita a subìre e accettano. Io sono ancora giovane e non mi va di lasciar perdere. Non tanto per aver festeggiato la mia laurea con la rabbia e il dolore di veder mia madre soffrire oltre a quanto già normalmente gli succede. Piuttosto per l'assurdità di tutto questo. L'assurdità di chiedere se è presente un disabile e non far nulla per aiutarlo. L'assurdità di costruire rampe presenti solo in parte. L'assurdità della sofferenza gratuita di mia madre. Di dover evidenziare questi problemi in un Università antica come quella padovana, dopo essere entrati da anni nel terzo millennio, alla faccia di tutte le legge e le iniziative in favore della disabilità entrate in vigore da decenni.

Non pretendo vengano varati corsi di educazione civica per impiegati, la cortesia e il rispetto dovrebbero essere automatici. Ma non voglio nemmeno che questa situazione permanga inalterata.
La sofferenza fisica non è una punizione per un male commesso, non è una pena da scontare sotto gli sguardi accusatori degli altri. E' una vita di dignità inchiodata su una sedia. E' una madre sofferente, che cerca di trattenere le lacrime. E' una parte della mia vita scomparsa recentemente, tra il coraggio soffocato dal dolore. Era mia madre, Angela, alla quale auguro un buon riposo. A lei dedico ogni singolo sforzo effettuato. (Daniele Luzzo)

(2 aprile 2008)
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Messaggio  FEDERICA GIURIATO Ven Mag 02, 2008 11:58 am

CIAO MI PRESENTO
Sono Federica, ho 32 anni e un piccolo handycap e mi ha fatto vivere di mxxxa in casa come un pesso morto, non mai fatto un percorso d'autonimia, per i miei và bene che faccia tra divano tv e letto.
Io ho studiato segrettaria e grafica, fecevo sport, esco grazie gli amici, ho viaggiato, lavoro per una miseria 100€ al mese, E vorre un posto FISSO
Sono fidanzata con Roberto (epilettico), siamo in cerca di un'appartamento-arredarlo poi ci sposeremo

Mia mamma delliria mi ha sempre umiliata e fatto violenza psicologica e minacia di mettermi in istituto, non ha mai accettato il mio handicap.

Se volete la mia collabarazione dentro il MEDA sono disponibile

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